Sicuramente, quando si dice Draghi si vola con la fantasia ad un mondo che è a metà fra i bestiari medievali e le cronache dei racconti fantasy che tutti abbiamo letto almeno una volta nella vita. Personaggi mitologici, rafforzati nell’immaginario collettivo da recenti serie Tv che riscuotono risonanze enormi di pubblico. Bochart, “esperto” cinquecentesco, stabilisce chiaramente le caratteristiche dei draghi: grandi dimensioni (fino a trenta metri), barba sotto mento e collo, tre ordini di denti, sibilo terribile. I draghi più piccoli, chiamati anche basilischi, hanno corpo affusolato, zampe tozze e una cresta sulla testa; nonostante siano lunghi appena un metro, sono letali anche solo con lo sguardo.
Superfluo dire che anche il mondo dell’arte è pieno di riferimenti a questi animali curiosissimi, basti pensare al celeberrimo “San Giorgio e il drago”, noto dipinto di Paolo Uccello. Così San Siro sconfigge il dragone che campeggia sullo stemma di Genova. Di certo, in alcuni casi, è intervenuta anche la fantasia, trasformando sconosciuti scheletri di dinosauro in “ossa di drago”. Il drago ha poi acquistato una cattiva reputazione, diventando l’iconografia del male che il cristiano deve estirpare. Lasciamo da parte tutta la mitologia dei draghi nella cultura orientale che richiederebbe un approfondimento tutto filosofico.
Nel mondo, attualmente, una parentela con i mitici dragoni già può essere riconosciuta ai varani, grandissimi lucertoloni africani e asiatici. Il più imponente, il dragone di Komodo, misura oltre 3 metri e si nutre addirittura di cinghiali e cervi. Le innocue iguane possono essere ritenute ‘parenti’ dei draghi. Non mancano i draghi di mare, anche se è difficile pensare che col loro mezzo metro di lunghezza siano collegabili ai draghi acquatici.
A differenza degli altri rettili, però, il drago è un animale a sangue caldo. Non si spiegherebbe altrimenti la sua capacità di adattarsi ai climi più diversi e di mantenersi in attività giorno e notte, in tutti i periodi dell’anno. Il corpo è ricoperto da scaglie cornee lunghe una ventina di centimetri, più morbide su ventre e collo. Le loro sfumature di colore sono dovute al diverso contenuto di minerali, ma predominano il verde, il rosso, il blu, il nero e il dorato.
Oggi, però, una sorprendente ricerca pubblicata su Nature rivela che gli animali sputafuoco non erano poi così leggendari, ma reali. E che, grazie ai cambiamenti climatici, potremmo addirittura aspettarci di rivederli presto fra noi.
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